Il cibo è sempre più visto come un prodotto da consumare velocemente, è cruciale riscoprire il valore della cucina domestica.
Un’affermazione del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida ha acceso un dibattito acceso in Italia: «Spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi perché cercando dal produttore l’acquisto a basso costo comprano qualità».
Questa dichiarazione ha suscitato reazioni contrastanti, ma ha anche stimolato Andrea Segrè e Ilaria Pertot, due docenti universitari, a condurre una ricerca approfondita sull’alimentazione in Italia. Il loro libro, “La spesa nel carrello degli altri”, edito da Baldini+Castoldi, si propone di esaminare non solo la qualità del cibo consumato dai vari strati sociali, ma anche di rivelare un fenomeno sorprendente: i ricchi mangiano meno dei poveri.
La ricerca sull’alimentazione in Italia
Secondo Segrè, agronomo ed economista che insegna all’Università di Bologna, la sua reazione iniziale all’affermazione del ministro fu di disaccordo, ma successivamente si trasformò in una spinta per esplorare più in profondità la questione. «Ci siamo chiesti come mangiano coloro che non sono considerati poveri alimentari. La nostra ricerca ha rivelato che anche le persone che appartengono a classi sociali più elevate non si nutrono necessariamente in modo sano», afferma.
Nel libro, gli autori presentano dati statistici ma vanno oltre i numeri, raccontando tredici storie di “sopravvivenza alimentare” che evidenziano come la povertà non sia solo una condizione economica, ma anche educativa, sociale e lavorativa. La ricerca ha dimostrato che c’è un impoverimento alimentare generale, dove, nonostante l’abbondanza di cibo, le persone mangiano male e non riconoscono il valore del cibo stesso.
Uno dei dati più allarmanti emersi dall’indagine è che attualmente in Italia ci sono 5,7 milioni di poveri “estremi”, pari al 10% della popolazione, che dipendono da cibo di carità, come eccedenze o surplus. Ma Segrè e Pertot non si sono fermati a questi numeri. Hanno analizzato i comportamenti alimentari di 2.052 persone in diverse città italiane, da nord a sud, per definire 13 identikit di categorie di persone con relazioni diverse al cibo.
Questi profili includono un’ampia gamma di esperienze, come:
1. Homeless
2. Ragazzo immigrato
3. Madre single
4. Padre separato
5. Imprenditore
6. Agricoltore
«Abbiamo cercato di cogliere la complessità delle vite dietro ogni statistica. Le scelte alimentari sono influenzate non solo dal reddito, ma anche dall’educazione e dal contesto sociale», sottolinea Segrè.
Un aspetto sorprendente della ricerca è il legame tra povertà alimentare e spreco. Contrariamente all’idea comune che i poveri sprechino meno cibo, i dati rivelano che chi ha meno risorse spesso spreca di più. Segrè spiega che chi acquista a basso costo, magari frutta di scarso valore nutrizionale, si ritrova a dover buttare via una parte significativa del cibo. Questo non solo ha un impatto economico, ma anche sulla salute, poiché alimenti di scarsa qualità tendono a contribuire a problemi di salute.
La pandemia ha portato a una temporanea diminuzione degli sprechi alimentari, ma secondo Segrè, questa tendenza non è durata. Oggi, l’Osservatorio Waste Watcher ha registrato un incremento del 45% degli sprechi alimentari rispetto all’anno precedente. «Le buone abitudini culinarie acquisite durante il lockdown sono svanite rapidamente», afferma.
Per invertire questa tendenza, Segrè e Pertot propongono di affrontare la questione a livello locale e di promuovere l’educazione alimentare nelle scuole. «Non può essere solo una parte dell’educazione civica, ma deve essere un intervento strutturato che riporti il cibo al centro della formazione», affermano. Investire in una corretta educazione alimentare è fondamentale per il futuro, non solo per la nostra salute, ma anche per il benessere economico e ambientale del Paese.